Otto Forst de Battaglia a trent’anni dalla morte

 

 

di Jakub Forst-Battaglia

 

1. Considerazioni generali

Quando mio nonno morì, a settantacinque anni, il 2 maggio 1965, mancava una settimana al mio quindicesimo compleanno. Otto Forst de Battaglia, come personalità, ha svolto un ruolo di straordinaria importanza nella mia vita, improntando di sé gli anni decisivi della mia infanzia e della mia giovinezza. Insieme nonno affettuoso ed erudito, con grandi doti didattiche, mi introdusse, un po’ sul serio e un po’ per gioco, nell’affascinante mondo della storia, della letteratura e della politica.

Sapeva raccontare fiabe meravigliose e allo stesso modo sapeva descrivere la complessa struttura del diritto romano o i tratti essenziali della mentalità cinese. Fino all’autunno 1956, prima nel distretto viennese di Lainz, poi nel quartiere di Wieden, dividevamo la stessa camera da letto, e per questo fummo molto vicini l’uno all’altro. Mio nonno, anche se come studioso e libero docente non sapeva cosa volesse dire fare vacanza, e si concedeva una pausa solo alle feste comandate, trovava sempre il tempo per dedicarsi al suo nipotino. Prima ancora che io imparassi a leggere, mi spiegava le illustrazioni della storia universale nei “Propilei”; e quando cominciai ad andare a scuola, alla sera mi raccontava le notizie della giornata.

La Weltanschauung alla quale mi avvicinò, come convinto europeista e umanista, fu quella di un tradizionalismo dei valori cristiani e liberali. La sua predilezione andava ai modelli di comunità sviluppatesi organicamente, il che non gli impediva di essere aperto alle questioni sociali. Deciso oppositore del comunismo, ancor più nella brutalità della sua formulazione stalinista, nonostante questa sua avversione seppe capire le ragioni della Sinistra. Detestò profondissimamente il nazionalismo e il razzismo, ravvisando in entrambi una forza distruttiva. Come storico e testimone dei suoi tempi conobbe il male che essi avevano generato in questo secolo. Da studioso di genealogia che aveva condotto ampi lavori di ricerca sulle famiglie dominanti di tutta Europa, ben sapeva che non solo ogni re annovera dei contadini tra i suoi antenati, ma che ogni contadino tra i suoi avi annovera dei re; che i popoli sono un intreccio di mescolanze e che la cosiddetta unità della razza è un pericoloso errore, facile pretesto per la violenza e l’intolleranza. Da qui crebbe in lui la convinzione di un ininterrotto e fruttuoso scambio di culture e di etnie.

Profondo conoscitore della Mitteleuropa, soffrì il crollo della monarchia asburgica – in forza di una sua propria manchevolezza, dell’invidia del resto del mondo e della miope lotta intestina fra le sue varie nazionalità - come la fine di un modello di un’Europa più grande e pacifica.

Già gli infelici frazionamenti della Polonia alla fine del XVIII secolo erano visti da lui come una pesante rottura degli equilibri europei. Anche la scomparsa dell’Impero Ottomano gli parve fatale per le sue conseguenze. Fu sempre sua preoccupazione porre ciò che unisce i popoli al di sopra di ciò che li divide.

Sembra impossibile considerare come opera di un solo studioso tutto il suo sapere e il suo operato, che accanto alla storiografia, al giornalismo (con una lunga serie di pseudonimi, come ad esempio Zyrill Boldirev, Roger de Craon-Poussy, Jean Lamy, T. Rall, Cyrille Mevius e in varie lingue, innanzi tutto tedesco, ma anche francese e polacco), alla critica letteraria (germanistica, romanistica e slavistica) e alla storia toccò anche la storia del diritto e la politologia.

Per conciliare i Polacchi con i Tedeschi, i Tedeschi con i Francesi, la Chiesa con i liberi pensatori, la destra con la sinistra, per promuovere in Occidente la comprensione per i Paesi dell’Est e viceversa, egli intraprese innumerevoli tour di conferenze, diede interviste alla radio, insegnò e scrisse. Molte sue missioni diplomatiche, difficili e delicate, al tempo della vecchia Austria, fino al 1945, mi sono note solo per frammenti, poiché mio nonno non venne mai meno alla discrezione, con riguardo a persone vive o alla parola data. Fu desiderio di mio nonno che il suo annuncio di morte recasse la dicitura: “Muoio come cattolico, credente ed umile”.

 

2. Origini, attività e influenza

2.1. Dalla Monarchia alla Guerra fredda.

Mio nonno nacque a Vienna, il 21 settembre 1889, nell’imponente dimora dei suoi genitori, al numero 4 della Hohenstaufengasse, nella 1a circoscrizione. Suo padre, Jakob Forst, proveniva da un’agiata famiglia di commercianti di Przemyśl e a Vienna aveva raggiunto una considerevole fortuna come fabbricante di calzature e possidente. Dal primo matrimonio erano nati tre figli, due femmine e un maschio, tutti poi rimasti senza discendenza. Rimasto vedovo, il mio bisnonno, che doveva essere un temperamento vivace e gioviale, e squisitamente patriarcale, si risposò con una Ungaro-tedesca. Il direttore del giornale cattolico “Reichspost”, Friedrich Funder, e un politico polacco avevano agevolato l’incontro.

A molti, e così anche a mio nonno, il destino della Monarchia stava molto a cuore. Attraverso vaste riforme essi speravano di poterne mantenere in vita la comunità dei popoli, quell’essenza comune che, con tutte le disparità, comunque era in piena fioritura, e di scongiurare così la minaccia della guerra allora latente, come una miccia che brucia a poco a poco. Otto Forst de Battaglia non risparmiò per questo le sue critiche all’erede al trono, ma ripose forti speranze nel suo carattere forte e deciso che, a sua parere, necessitava solo di buoni consiglieri.

Le cose andarono diversamente. Il 28 giugno 1914, il tempo era stupendo. I miei nonni e mio padre, Roger, bimbo di un anno, s’intrattenevano con amici al caffé Huebner, al parco, quando una edizione straordinaria annunciò l’assassinio della coppia imperiale a Sarajevo. La musica s’interruppe. Ognuno se ne andò per la sua strada, presagendo il peggio. Otto non dimenticò mai quel giorno. Riformato come soldato di Cavalleria, a causa di un’operazione all’intestino non fu inviato al fronte (dove due terzi dei suoi compagni di classe caddero nell’arco di poche settimane), bensì all’Archivio di guerra e presso la Stampa militare, dove servì insieme all’élite degli intellettuali austriaci. Iniziò allora la sua amicizia pluridecennale con gli scrittori Franz Theodor Csokor e Richard von Schaukal. Trovò comunque il tempo per laurearsi a Bonn, sub auspiciis Imperatoris, con uno studio genealogico, “Von Herrenstande” e di conseguire l’abilitazione a Basilea nel 1917. A Vienna fu attivo con il Comitato Nazionale Polacco d’Austria, fautore della cosiddetta opzione austropolacca, cioè sostenitore del secondogenito degli Asburgo sul trono polacco (russo-polacco, in unione con la Galizia).

I servizi segreti militari Austro-ungheresi (l’Ufficio di complemento) lo inviarono all’Ambasciata di Berna, dove Otto Forst de Battaglia, quale giovane addetto, stabilì contatti confidenziali con gli alleati occidentali al fine di realizzare una pace separata per la Monarchia (Affare Sixtus).

Dopo il crollo dell’impero, mio nonno diede vita a Lucerna all’Agence Centrale, una organizzazione tesa alla reintegrazione della monarchia asburgica. Il ramo ungherese era guidato dal principe Ludwig Windigschgraetz. Quando l’imperatore Karl e l’imperatrice Zita furono esiliati a Madeira, Otto Forst de Battaglia sciolse l’Agence e, grazie ad un’amnistia, poté tornare a Vienna, nella nuova Austria. Decenni dopo mi raccontò dei suoi tentativi disperati, come allora li considerava, per esercitare un influsso sui circoli dell’Europa occidentale, soprattutto sui Conservatori francesi, negli anni 1919-1921, per dare vita su nuove basi ad una confederazione danubiana, in collaborazione con personalità di fiducia negli Stati postbellici. Tra il 1922 e il 1938, mio nonno, che si era separato dalla moglie, ritornata in Polonia, visse con mio padre per lo più a Vienna, in Rathausstrassee 3, poi in Germania, a Wiesbaden; in Francia, a Strasburgo, Nancy, Grenoble e a Parigi; in Svizzera, con viaggi occasionali in Germania, in Cecoslovacchia (collaborazioni al “Prager Tageblatt” e alla “Prager Presse”); in Polonia e in Ungheria (collaborazione al “Pester Lloyd”).  Lavori sulla letteratura polacca, francese e tedesca, una biografia di Stanisław August Poniatowski, l’ultimo re di Polonia, la miscellanea “Processo e dittatura”, con prefazione di Winston Churchill, videro la luce in quel periodo. In Germania, mio nonno ebbe intensi contatti con gli ambienti cattolici e liberali della Renania e della Baviera. Per questo, annoverava tra i suoi più stretti amici il padre gesuita Muckermann, poi divenuto famoso per la sua irriducibile resistenza al regime di Hitler. La madre adottiva di mio padre, Erna, era la figlia di un editore renano, politico di Centro. Mio padre frequentò scuole francesi, tra l’altro a Mainz, dove diede la maturità, al Lycée Français, nel 1929.

Il cancelliere federale Ignaz Spiel, che mio nonno conosceva bene da molti anni, lo incaricò di una missione di mediazione: doveva chiedere ai Socialisti francesi di influire sui Socialdemocratici austriaci, perché entrassero a far parte di un governo di coalizione con i Cristiano-sociali. Le posizioni si erano tuttavia a tal segno irrigidite, che neppure l’esortazione dei compagni parigini riuscì a suscitare un mutamento di opinione presso la centrale del partito, a Vienna. Il prelato Seipel mi descrisse mio nonno come una figura tragica, un uomo duro ma giusto, che ben aveva conosciuto la situazione senza sbocco della Prima Repubblica austriaca. Anche Otto Bauer gli tributò grande rispetto, criticandone però la riluttanza al compromesso.

Membro del Fronte Patriottico, da lui avvertito come l’estremo baluardo contro il Nazionalsocialismo, mio nonno fu tuttavia solo uno scettico sostenitore dello Ständestaat (Stato Corporativo), che troppo accentuava il carattere tedesco dell’Austria. Più vicini a lui erano pensatori cattolici come Alfred Missong o Enst Karl Winter, patrioti austriaci di spicco e sostenitori di una riconciliazione con i Socialdemocratici di fronte a Hitler.

Otto Forst de Battaglia, i cui tentativi per ottenere una cattedra in Austria prima del ’33, in Germania o in Polonia, erano purtroppo rimasti senza successo (mai si inquadrò infatti in categorie politiche rigidamente definite), aveva sempre mantenuto ottimi contatti con l’élite degli intellettuali polacchi. Di fronte agli epigoni del regime di Piłsudski si pose in un atteggiamento di riservatezza.

Quando, nel marzo 1938, avvenne l’annessione di un’Austria ormai abbandonata da tutti, mio padre e mio nonno lasciarono Vienna: il 12 marzo, senza ostacoli, sull’ultimo treno libero partirono per la Svizzera. Quella sera ascoltarono – mi fu assicurato – in lacrime il cupo discorso radiofonico del cancelliere federale Schuschniggs. Sembrava essere un addio a Vienna, un addio per sempre. Con l’aiuto di amici belgi, dell’influente avvocato Marcel Gregoire e dell’editore Abbe Von den Houte, mio nonno poté stabilirsi in Belgio e intanto riprendeva a tessere la sua rete di conoscenze in Francia e in Svizzera.

Nel 1940 la Legazione di Polonia gli diede un passaporto diplomatico polacco (il diritto alla cittadinanza, che egli aveva posseduto accanto a quella austriaca, gli era assicurato dalla nazionalità del padre, di Przemyśl). Fu il riconoscimento della sua attività di pubblicista per la diffusione della cultura polacca all’estero, condotta per vari decenni, a indurre a questo gesto il governo polacco in esilio.

Ancora una volta con l’ultimo treno disponibile, nel maggio 1940, giunto a Parigi sotto continui bombardamenti tedeschi, Otto Forst de Battaglia e mio padre visse l’esodo di massa, selvaggio e motorizzato, dei belgi e dei francesi verso Sud. Dopo la dissoluzione dell’Austria, poi della Polonia e della Francia, un’altra profonda delusione per lui. Sapeva descrivere con tanta incisività le vicende di quei giorni che io, da bambino, me le facevo sempre raccontare da capo più e più volte.

Il governo polacco in esilio ad Angers nominò Otto Forst de Battaglia “Attaché onorario” (cioè senza compenso) alle legazione di Berna, dopo che egli, per ovvi motivi, aveva rifiutato il posto di console a Bordeaux. E ancora una volta fu un ultimo treno “libero” ad aprirgli le porte della Svizzera.

Là, Otto e Roger dovevano rimanere sino alla fine della guerra. In Svizzera, gli immigrati, anche con un passaporto diplomatico, non potevano svolgere attività economiche. Mio nonno dovette così pubblicare sotto molti pseudonimi e in diversi giornali. Il presidente federale svizzero Motta, un ticinese conservatore, lo protesse dai possibili problemi con la polizia per stranieri.

Otto Forst de Battaglia scrisse molto sulla Polonia, Paese allora spaventosamente tormentato dalla guerra e dagli orrori dei nazisti. Nel 1944, per il 150° anniversario dell’insurrezione contro i russi del 1794, l’insurrezione di Tadeusz Kościuszko (un eroe nazionale polacco che sarebbe poi morto proprio in Svizzera, a Solothurn),  egli scrisse una dozzina di articoli di vario tipo sotto diversi nomi, come se l’intera stampa elvetica dovesse occuparsi solo di Kościuszko.

Nel 1948 mio nonno fece ritorno a Vienna. Poco prima, mio padre, durante un viaggio in Polonia, aveva conosciuto a Varsavia quella che poi sarebbe divenuta mia madre, il cui fratello aveva potuto superare il periodo della guerra come segretario di legazione presso la rappresentanza polacca a Berna.

Le ultime  visite a Varsavia, come anche a Praga (c’erano ancora molti conoscenti del periodo prebellico, come lla guida spirituale dei cattolici cechi, l’abate Method Zavoral von Strahov), agli albori della socialdemocrazia non lasciavano presagire nulla di buono. Nella dorata e intatta Praga, come nella Varsavia distrutta, il livello di vita e di approvvigionamento era ancora più alto che non in Austria, ma la bolscevizzazione stava iniziando il suo spietato cammino. Dopo il 1948 mio nonno non fece mai più ritorno nell’Europa dell’Est.

 

2.2 Gli anni di Vienna (1948-1965)

Mio nonno, che credeva fermamente nella forza vitale della nuova Austria democratica, divenne nel 1948 professore associato all’Università di Vienna, dove tenne lezioni di Genealogia, Storia e Slavistica. La sua attenzione si rivolse principalmente alla storia e alla letteratura polacca nel contesto globale dello sviluppo europeo.

Presso gli alti rappresentanti della vita politica austriaca, egli fu ospite e interlocutore ben gradito – per i presidenti federali Theodor Körner (1951-57) e Adolf Schärf (1957-63) così come per i cancellieri Leopold Figl (1945-53) end Julius Raab (1953-61). Fu amico di Fritz Meznik, capo-sezione e a lungo capoufficio-stampa del governo federale. All’Università, ebbe rapporti con storici di vaglia, come Leo Santifaller, Hans Leo Mikoletzky, Heinrich Felix Schmid, Erich Zöllner, Fritz Heer e Alexander Nowotny. Con Friedrich Funder, direttore della rivista “Furche”, il vincolo di amicizia, che risaliva al 1910, fu la base di una regolare collaborazione con quel settimanale cattolico. A lungo collaborò con Willy Lorenz e Kurt Skalnik, rispettivamente direttore e caporedattore della “Furche”. I suoi contributi riguardarono innanzi tutto l’Europa dell’Est e l’Unione Sovietica in generale, la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria in particolare.

Un posto regolare ebbe Otto Forst de Battaglia presso i media, le università e le case editrici della Repubblica Federale Tedesca. Nel periodo della Guerra Fredda egli si operò affinché i Polacchi e gli altri popoli rimasti al di là della Cortina di ferro non fossero dimenticati in Occidente. Quando nelle capitali del Patto di Varsavia non vi erano più corrispondenti occidentali, o erano rarissimi, dal suo scrittoio di Vienna mio nonno forniva vividi rapporti sulla situazione contemporanea, come se fosse stato sul posto. Una costante valorizzazione delle fonti utilizzabili e un dono particolare per l’osservazione acuta erano i segreti del suo successo.

Il presidente federale tedesco Theodor Heuss, l’esponente della Spd Carlo Schmid, leader cattolici ed editorialisti liberali (Wilhelm Peuler) furono suoi interlocutori. Durante i suoi viaggi di lavoro attraverso la Germania, si adoperò per far conoscere la Polonia e promosse la riconciliazione. Un saggio pionieristico come “Zwischeneuropa” (Francoforte, 1954) conserva ancor oggi tutto il suo valore scientifico.

Otto Forst de Battaglia rimase fedele anche alla storia, alla letteratura e alla critica. A ciascuno dei suoi due autori più amati, Johann Nestroy e Karl May dedicò una monografia, a distanza di trent’anni. Una predilezione tramandata poi anche a me. Il suo personaggio storico più preferito, il re polacco Jan Sobieski, è la figura centrale di una biografia che vide la luce in Svizzera nel 1946 e fu ripubblicata poi in Austria nel 1983. Zbigniew Wójcik, storico di Varsavia, ne curò una versione in polacco.

Scrittori austriaci come Erik G. Wickenburg, Franz Theodor Csokor, Oskar Maurus Fontana, Rudolf Henz o Friedrich Schreyvogl frequentavano la nostra casa. In molti saggi, mio nonno si occupò delle figure della grande Austria, come il Principe Eugenio, il Cancelliere Metternich, Franz Ferdinand o Karl Kraus. In particolare, l’ironia amara e implacabile del critico e moralista Karl Kraus, che egli aveva conosciuto bene, lo influenzò profondamente.
Nella nostra raccolta familiare di lettere figurano carteggi con personalità di spicco come Kraus, appunto, o Sigmund Freud, Albert Einstein, Thomas Mann, Joseph Roth, solo per citare qualcuno. Non mancano i grandi delle Lettere polacche, come Tadeusz Boy-Żeleński, Juliusz Kaden-Bandrowski, Ferdynand Ossendowski, Zofia Kossak, Zofia Nałkowska o Maria Dąbrowska.
Conserviamo anche bauli di una collezione che rappresentò lo speciale hobby di Otto: raccoglieva Krampus, la figura, diabolica nell’aspetto, ma in realtà buona e astuta, che accompagna San Nikolaus il 6 dicembre, la cui raffigurazione si rifà ad antichi costumi popolari in uso nelle regioni alpine. Aveva inventato per loro una speciale lingua e una ideale organizzazione sociale.

A mio nonno – e posso solo per frammenti esemplificativi ricordarne qui l’opera infaticabile – debbo innumerevoli rapporti di conoscenza e sollecitazioni culturali.

Quanto fosse ben noto il suo nome in Polonia, lo constatai ancora molti anni dopo la sua morte, visitando alcune scuole superiori polacche. Tra gli intellettuali, che a Vienna frequentarono mio nonno (la relativa apertura della vita culturale polacca anche dopo il 1956 permise questi contatti), ad aver impresso in me i ricordi più durevoli sono stati Jan Parandowski, appassionato di antichità greche, lo scrittore giudaico-cristiano e umanista Roman Brandstaetter, l’insigne medievista Aleksander Gieysztor, lo storico del diritto Jakub Sawicki. Un affettuoso rapporto personale ebbi con mio zio, vecchio amico di mio nonno, il polacco Stanisław Nahlik, esperto di Diritto internazionale.

Sono passati trent’anni dalla morte di Otto Forst de Battaglia. Ma io me lo vedo ancora davanti, come fosse ieri, rivivo le nostre ore di conversazione, a Vienna o nelle vacanze estive, meravigliosamente lunghe, a Lugano o a Brunnen. Sempre egli fu per me un mentore, buono e saggio; ancora oggi, un modello spirituale.

Jakub Forst-Battaglia, 1996

 

 

Una toccante immagine di Otto Forst de Battaglia con il nipotino Jakub dinnanzi all'albero di Natale

 

Otto Forst de Battaglia

 

 

 

 

 

 


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