L'aquila ferita

di Joseph Conrad

Traduzione di Mario Benzing


Prefazione

     Studioso appassionato dell'epopea napoleonica, Joseph Conrad volle trarre da tale argomento l'opera somma, la prediletta, l'ultima: un romanzo di mole maggiore dei precedenti, che degnamente coronasse la sua mirabile produzione letteraria: l'apoteosi della sua fervida e brillante fantasia. Scelse uno dei momenti più significativi e, letterariamente, meno sfruttati: quello dell'isola d'Elba, che tenne milioni d'anime in angosciosa sospensione. E, procedendo come molti spiriti insofferenti di qualsiasi costrizione, senza

orditura prestabilita, in modo da lasciar libera la fantasia di creare volta per volta ogni capitolo secondo l'ispirazione del momento, egli già aveva delineato il carattere dell'opera, plasmato i molti svariati e tipici personaggi, reso, in modo efficace, l'atmosfera di quell'angosciosa sospensione, quando la repentina morte tolse la penna dalla sua mano operosa, lasciando Suspence per sempre sospesa. Il giorno prima che morisse, giusto un'ora prima che si determinasse l'ultima crisi del suo male, egli disse a un suo amico, parlando di Suspence: "Vedo cinque o sei conclusioni diverse".

     Immaginare quale tra queste potesse o dovesse preferire, è cosa del tutto impossibile, troppe essendo le possibilità evolutive degli elementi accumulati al punto in cui l'opera fu sospesa. E' un segreto che non verrà mai rivelato. Rimane tuttavia un'opera che ha già le proporzioni di un libro assai voluminoso e, nonostante il suo stato d'incompiutezza, contiene tante cose compiute e ben merita di essere letta, sopra tutto dagli italiani cui rievoca la Genova del '15, la Città Superba che, tutta pervasa da un orgasmo di ribellione al ritorno dell'odiato austriaco, vedeva nell'Uomo dell'Elba l'imperatore di un'Italia libera e unita.